Devozione dell’Ave Maria, storia di una lode
dal libro di René Laurentin, L’Ave Maria, Queriniana, Brescia 1990, pp. 11-21.
Da dove viene questa preghiera a Maria, la formula più ripetuta in questo mondo? Come si è formata?
Nella chiesa primitiva, l’Ave Maria non veniva recitata. E la prima delle cristiane, Maria, alla quale questo saluto era stato rivolto dall’angelo, non aveva da ripeterla. Ancora oggi, quando prega con i veggenti, tenendo una corona, non dice l’Ave Maria. A Lourdes quando Bernadette recitava il rosario davanti a Lei, la Signora della grotta si associava al Gloria, ma «non muoveva le labbra», quando la ragazza recitava le Ave Maria. A Medjugorje, quando la Vergine prega con i veggenti – il che costituisce il culmine di ogni apparizione – è per dire con loro il Pater e il Gloria. senza l’Ave (che i veggenti hanno recitato prima dell’apparizione).
Quando è iniziata la preghiera ai santi?
L’Ave Maria si è formata lentamente, gradualmente, nel corso dei secoli.
Ancora una volta, la preghiera essenziale della chiesa è rivolta al Padre per mezzo del Figlio. Nel messale latino, soltanto due orazioni sono rivolte al Cristo; la prima e la terza della festa del Corpus Domini. E non ci sono orazioni rivolte allo Spirito santo, neanche il giorno di pentecoste.
Ciò perché Dio è il fondamento e il sostegno di ogni preghiera, che esiste, si forma e sfocia solo in Lui. Allora perché delle preghiere rivolte non al Padre ma ad altri? Quale è la loro funzione e la loro legittimità?
Si tratta di preghiere secondarie: antifone e inni, per esempio. Esse servono ad attualizzare i nostri legami con gli eletti nella Comunione dei Santi.
Non si tratta di riti di contrabbando, tali da contestare la preghiera essenziale della chiesa. Queste formule si inscrivono in quella stessa preghiera, in quello slancio verso Dio solo, perché noi andiamo a lui insieme, non senza intercessione, e ritroviamo gli altri in Dio, tutto in tutti.
Quando è iniziata, dunque, la preghiera ai santi? Molto presto i cristiani hanno sentito dei legami profondi con i martiri i quali avevano superato terribili sofferenze per fedeltà al Signore, e avevano prolungato nel proprio corpo il sacrificio del Cristo, per il suo corpo che è la chiesa (Col 1,24). Questi atleti mostravano la via della salvezza. Il culto dei martiri iniziò fin dal II secolo.
Dopo le persecuzioni, gli apostati sollecitavano l’intercessione dei confessori della fede (i sopravvissuti fedeli, segnati a volte dalle loro ferite), per ottenere penitenza e riabilitazione. A fortiori si ricorreva ai martiri i quali avevano raggiunto il Cristo, dando fino in fondo la prova «dell’amore più grande» (Gv 15,13).
Molto presto, dopo tutto questo, nel IV secolo e forse un po’ prima, si cominciò a rivolgersi ai santi asceti, e a Maria, in forma privata.
Come l’Ave Maria divenne preghiera
La prima parola dell’Ave Maria: chaire, ‘rallegrati’, con cui inizia l’annuncio dell’angelo, sembra fosse stata tracciata, fin dal III secolo, su un graffito trovato a Nazareth, sul muro della casa che venne ben presto visitata dai cristiani come luogo dell’annunciazione.
E nelle sabbie del deserto d’Egitto fu trovata, su di un papiro che gli specialisti fanno risalire al III secolo, una preghiera rivolta a Maria. Questa preghiera era nota ma si pensava fosse del medioevo. Eccola: «Sotto il manto della misericordia noi ci rifugiamo, Madre di Dio (theotokos). Non respingere le nostre richieste, ma nella necessità salvaci dal pericolo, [Tu] sola casta e benedetta».1
Verso la fine del IV secolo, la liturgia di certe chiese orientali sceglieva un giorno per commemorare Maria, prima della festa di natale (come già venivano commemorati i martiri). La memoria di Maria non poteva avere posto se non accanto all’Incarnazione. I predicatori ripetevano le parole dell’angelo rivolgendole essi stessi a Maria. Ciò poteva essere una “prosopopea”, procedimento letterario e oratorio con il quale ci si rivolge ad un personaggio del passato: «O Fabrizio, che avrebbe mai pensato la vostra grande anima!» esclamava Jean-Jacques Rousseau, nel Discorso sulle scienza e le arti, che fece la sua gloria nel 1750.
Ma ben presto, la prosopopea divenne preghiera.
La più antica omelia di questo genere, attribuita a Gregorio di Nissa, pare sia stata pronunciata a Cesarea di Cappadocia, tra il 370 e il 378. I1 predicatore commenta così il saluto di Gabriele associandovi il popolo cristiano: «Diciamo ad alta voce, secondo le parole dell’angelo: Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te[…]. Da te è uscito colui che è perfetto in dignità e nel quale risiede la pienezza della divinità. Rallegrati piena di grazia, il Signore è con te: Con la serva il re; con l’immacolata colui che santifica l’universo; con la bella, il più bello dei figli degli uomini, per salvare l’uomo fatto a sua immagine».
Un`altra omelia, attribuita allo stesso Gregorio di Nissa, e destinata alla medesima celebrazione, riprende anche la lode di Elisabetta a Maria: Tu sei benedetta fra le donne (Lc 1,42): «Si, tu sei benedetta fra le donne, perché tra tutte le vergini tu sei stata scelta; perché tu sei stata giudicata degna di ospitare un tale Signore; perché tu hai accolto colui che riempie tutto…; perché tu sei divenuta il tesoro della perla spirituale».
Da dove viene la seconda parte dell’Ave Maria?
La seconda parte dell’Ave: «Santa Maria, Madre di Dio», ha una storia più recente. Ha la sua origine nelle litanie dei santi, che risalgono al VII secolo. Maria veniva invocata per prima subito dopo Dio: «Sancta Maria, ora pro nobis, Santa Maria prega per noi».
Questa formula venne sviluppata con diverse espressioni, e così aggiunta, qua e là, alla formula biblica dell’Ave Maria.
Il grande predicatore san Bernardino da Siena (sec. XV) diceva già: «A questa benedizione con cui termina l’Ave: Tu sei benedetta fra le donne (Lc 1,42) noi possiamo aggiungere: Santa Maria, prega per noi peccatori».
Alcuni breviari della seconda metà del secolo XV contengono questa formula breve. La troviamo in s. Pietro Canisio nel XVI secolo.
La finale: «adesso e nell’ora della nostra morte», appare in un breviario francescano del 1525. Il breviario instaurato da Pio v nel 1568 l’adottò: prescriveva la recita del Pater e dell’Ave all’inizio di ciascuna Ora. È così che la nostra Ave Maria si trovò ad essere divulgata e promulgata per intero, sotto la forma che conosciamo.
Ma questa formula del breviario romano ci mise del tempo per diffondersi. Numerosi breviari che la ignoravano disparvero. Gli altri la adottarono progressivamente e la diffusero tra i sacerdoti, e per mezzo di essi tra il popolo. L’integrazione sarà pienamente avvenuta nel secolo XIX.
Quanto all’epiteto “poveri” prima di “peccatori”, esso non esiste nel testo latino. È un’aggiunta del secolo XIX: un umile appello alla pietà e alla compassione. Questa aggiunta, che alcuni hanno criticato come un sovraccarico e un pleonasmo, esprime una duplice verità: la povertà del peccatore e il posto assegnato ai poveri nel vangelo: «Beati i poveri», proclama Gesù, e tra loro egli comprende i peccatori, ai quali è rivolta prioritariamente la Buona Notizia: «Non sono venuto a chiamare i giusti, bensì i peccatori» (Mc 2,10).
Le traduzioni
Se la formula latina è ben fissata dal tempo di san Pio V nel secolo XVI, l’Ave Maria venne tradotta in modi leggermente diversi che a volte creano qualche incertezza nella recitazione.
Preoccupati di migliorare le formule, alcuni esegeti ritengono (a ragione come vedremo) che la prima parola dell`Ave non sia un saluto ordinario, bensì un invito alla gioia messianica: “Rallegrati”. Donde una variante sulla quale torneremo.
La traduzione di fructus ventris tui con il frutto del ventre tuo è parsa grossolana a qualcuno. E già prima del concilio, alcune diocesi preferivano «il frutto del seno tuo». Altri hanno proposto: «e benedetto Gesù figlio tuo»: il che edulcora il realismo del testo biblico tanto espressivo dell’incarnazione: «Ecco che tu concepirai nel tuo ventre» dice l’angelo in Lc 1,31. Egli usa il termine prosaico gastér, preferendolo a koilia: il seno materno [= grembo], per motivi teologici e biblici profondi sui quali torneremo. Ma Lc 1,42 in cui si trova la benedizione di Elisabetta, usa appropriatamente il termine specifico: koilia. Benedetto il frutto del seno tuo.
Alcuni preferiscono eliminare l’aggiunta poveri prima di peccatori, per fedeltà al testo latino.
Conformemente all’uso post-conciliare, invece di Così sia, si dice Amen, ma c’è chi elimina questa clausola finale.
Dopo il concilio, le preghiere del messale e del rituale sono state tradotte con il tu. Questa soluzione venne adottata per fedeltà ai linguaggi della Bibbia e al latino, i quali ignorano il voi di deferenza. Da molto tempo le traduzioni bibliche erano unificate con il tu. La logica e l’omogeneità delle traduzioni post-conciliari raccomandavano questa soluzione. Non si trattava di una innovazione, perché i canti popolari davano del tu a Dio molto prima del concilio. Dignitosamente: «Parle, commande, règne, nous sommes tous à Toi Jésus, étende ton règne, de l’univers sois Roi (Parla, comanda, regna, tutti apparteniamo a Te Gesù, estendi il tuo regno, dell’universo sii Re!)»
La conferenza episcopale francese approfittò dell’occasione per elaborare una traduzione ecumenica del Pater, che venne accettata da tutte le confessioni per i paesi francofoni. Sarebbe stato logico proporre anche una nuova traduzione ufficiale dell’Ave Maria. Perché non fu fatta?
I vescovi non hanno voluto risvegliare le recriminazioni sul ‘tu’, perché non sarebbero mancate su un punto sensibile come la devozione mariana.
La traduzione francese ecumenica del Pater (così felice dal punto di vista ecumenico, visto che permette ai cristiani di tutte le confessioni di recitare insieme la Preghiera del Signore) aveva suscitato un’altra controversia. La traduzione preconciliare: Non permettere che soccombiamo alla tentazione è divenuta Non sottoporci alla tentazione. L’abbé Jean Carmignac, ebraista di primo piano, ha militato per tutta la vita contro questa traduzione che riteneva infedele e offensiva nei confronti di Dio:
– È il demonio che tenta, non il Creatore, egli faceva osservare. Di conseguenza proponeva: Guardaci dall’acconsentire alla tentazione.
Carmignac ne fece un affare non solo di scienza, ma di coscienza. Abbandonò per questo motivo la parrocchia che gli imponeva la recita ufficiale, e si trasferì in un’altra parrocchia parigina (San Francesco di Sales) che gli permise di usare la sua formula.
Per non suscitare ulteriori polemiche nell’atmosfera già tempestosa che portò allo scisma di monsignor Lefebvre, l’episcopato evitò di elaborare una traduzione dell’Ave Maria.
Alcuni presero l’iniziativa di revisioni più vicine al testo biblico, omogeneo al ‘tu’ del messale. Il che lascia la recita in una situazione fluttuante, a cui ciascuno si adatta meglio che può.
Anche se personalmente preferisco la traduzione: Rallegrati, mi attengo alla formula preconciliare, mai riformata ufficialmente ed ampiamente predominante, quando recito il rosario con un gruppo di persone provenienti d’ogni dove. Invece nelle comunità che hanno preferito l’altra soluzione, mi attengo volentieri al loro uso.
Pare sia saggio, per definire questa faccenda, aspettare una situazione pienamente pacificata.