Tenerezza dell’angelo custode quando siamo nel peccato

Il devoto dell’Angelo Custode (Don Bosco)

La bontà del nostro amorevole Custode non cessa nemmeno quando noi cadiamo in qualche peccato. È vero che in quell’infausto momento in cui pecchiamo, il nostro buon Angelo quasi da noi ritirandosi disdegnoso, par che prorompa in alti gemiti di dolore. E benché per lo stato suo beatifico nuoti in un delizioso mare di pace, ad ogni modo l’odio che porta alla colpa sembra che lo faccia passare in un mare di lagrime: Angeli pacis amare flebunt. Nondimeno, benchè affrontato sì oltraggiosamente da chi pecca sotto i suoi purissimi sguardi, benché posposto anche al maligno spirito; non perciò si ritira, {38[124]} nè abbandona chi l’oltraggiò, ma soffre e dissimula, e nulla tralascia per ricuperare quell’anima infelice che tutto gli é cara. Gran cosa! pondera qui s. Pier Damiani, noi tutto di e in tanti modi oltraggiamo questi si amanti custodi, ed il loro amore tuttavia ci soffre, anzi è poco il soffrirei, seguono ancora ad assisterci, e cresce e diventa più pietosa in loro la sollecitudine per noi medesimi, perché siamo noi più miseri e meschini. Nella guisa che il cuor d’una madre diviene più tenero, ove l’infermità d’un caro figlio diviene più grave; così l’amorevole nostro custode al rimirar l’anima nostra in uno stato cotanto lagrimevole, tutto per lei intenerito le avanza i primi atti di pietà a piè del divin trono, intercede e parla così: Deh Signore, pietà di quest’anima a me affidata; voi solo potete liberarla, e senza di voi è perduta: et dicet libera eum ut non descendat in corruptionem. Tali suppliche reca egli {39[125]} al misericordioso trono di Gesù Redentore, le reca a quel di Maria rifugio dei peccatori; e mercé di sì potente intercessore, come non si placherà la giustizia divina?

Ah se non fosse sì ostinata la nostra resistenza a tanti e sì amorosi impulsi del buon custode, niuno mai vedrebbe sulla sua colpa tramontare il sole, senza averla pianta ed espiata con fruttuosa penitenza. Ma neppur quando ci vede ritrosi alle sue voci cessa d’amarci, e spinto, dà talora di mano alla verga di correzione con disastri, con decadenza di fortuna, che credonsi da noi disgrazie, e sono finezze del nostro Angelo, il quale sa amare e correggere, e sa rivolgere in bene il castigo stesso. In quale abisso di colpe non s’immergeva Balaamo, sino a voler maledire il popolo di Dio? ma l’Angelo avendolo ridotto prima ad uno stretto di via, se gli mostrò con ispada fulminante alla mano, e gli disse d’essere venuto appunto a rompergli i passi, perchè {40[126]} i passi suoi erano iniqui e perversi. Così videsi dall’Angelo cambiato Balaamo; così veggonsi tuttodì cambiare tanti cuori prima indocili, poi tra le strette di qualche traversia, tra i rimproveri che loro fa sentire l’Angelo si ravvedono dai loro errori, ritornano sulla diritta strada della virtù; ed oh allora le allegrezze tra cui tripudia il santo Angelo! Giubilando ne vola ad intimar su in cielo a tutte le gerarchie degli Angeli nuove feste, giusta il detto del Redentore, per la pecorella smarrita e sì felicemente all’ovile ricondotta. Gaudium erit in coelo super uno peccatore poenitentiam agente (Luc. 14, 7). Mio pazientissimo Custode, quanto tempo è mai, che vorreste raggiungere la deviata pecorella dell’anima mia all’ovile di Gesù? Odo le voci che mi chiamano, pur fuggo da voi, come un giorno Caino dal divin volto. Ah! non voglio più stancare la vostra pazienza. Rimetto nelle vostre mani quest’anima, {41[127]} perché voi la rimettiate tra le braccia del buon pastore Gesù. Egli promise di far con tutti i suoi Angeli gran festa per tale ritorno: sia questo il giorno di tale festa per me: io colle mie lagrime su’ miei peccati ne darò il soggetto, voi con giubilo proseguitela sul mio ravvedimento.

PRATICA
Fuggite più che la peste le cattive compagnieeleconversazioni sospette, tra le quali il vostro buon Angelo non può vedervi che con disgusto, perché l’anima vostra è in pericolo. Allora potrete con fiducia promettervi l’assistenza dell’Angelo, la grazia di Dio.

ESEMPIO
Qual sentimento si desti negli amorevoli nostri custodi, allorchè cadiamo in peccato, e quale premura si prendano per farci ritornar in grazia, si conosce da ciò che Cesario racconta del famoso Liffardo. Nato questi di nobil famiglia, e fattosi religioso, {42[128]} per esercizio di umiltà gli fu dal superiore imposto di adempiere uffizi i più bassi. Per alcuni anni egli tenne questo suo posto con grand’ esempio di virtù, quando un dì il maligno spirito lo tentò di superbia, rappresentandogli il vitupero che tornava alla sua illustre condizione, per esser così vilmente occupato. Questa tentazione divenne sì gagliarda, che il misero monacò già risolveàsi a depor l’abito religioso, e fuggir dal chiostro, se non che mentre tali pensieri l’agitavano, di notte tempo gli`comparve il suo Angelo custode in forma umana e gli disse: «Vieni e seguimi. » Ubbidì Liffardo, e fu condotto a visitare i sepolcri. Al primo girar per quei luoghi, alla vista di quegli scheletri, alla puzza di quel fracidume, egli fu talmente preso da terrore, che chiese all’Angelo la grazia di ritirarsi. La celeste guida lo condusse alquanto più oltre, poscia con voce autorevole, rimproverandolo della {43[129]} sua incostanza. « Tu pure, gli disse, sarai fra poco un bulicame di vermi, un mucchio di ceneri. Vedi dunque, se ti può tornar a conto, di dar luogo, alla superbia, voltando a Dio le spalle, per non voler tollerare un atto di umiliazione, con cui comprarti puoi una corona di gloria eterna. » A tali rimproveri Liffardo si pose a piangere, dimandò perdono del suo fallo, promise che sarebbe più fedele alla sua vocazione. L’Angelo intanto ricondottolo nella sua stanza, disparve, rimanendo quegli fermo ne’suoi sinceri proponimenti fino alla morte. (Ces. lib. 4, 54).