Come manifestare la Fede sul lavoro

La Fede presenta il lavoro come diritto e dovere, pe­na e piacere, onore e servizio; collaborazione con Dio creatore e con Cristo redentore, mezzo di sussistenza e palestra di virtù, padronanza dell’uomo sulle realtà ma­teriali non solo a livello scientifico-tecnico, ma anche e soprattutto a livello morale-spirituale.

Raffigura Dio stesso come Lavoratore immaginan­dolo nella sua azione: per esempio, pastore che si prende cura del gregge, vignaiuolo che si interessa alle proprie viti, vendemmiatore che pigia l’uva nel tino; e la Fede ha in Gesù Cristo Colui che è venuto al mondo in una fami­glia operaia, ha fatto il falegname per trent’anni, ha lavo­rato per vivere, ha frequentato gli operai della sua terra, ha illustrato il proprio insegnamento con paragoni tolti dal mondo del lavoro, ha scelto i suoi apostoli tra i pe­scatori del lago, e ha affermato: “Il Padre mio lavora fin dall’eternità, e anch’io lavoro” (Gv. 5,17).

La Fede insegna che dinanzi a Dio conta non la quali­tà del lavoro, ma l’intenzione per la quale si è lavorato, perciò una scopa usata rettamente vale più di una penna adoperata con poca o nessuna rettitudine. L’intenzione più alta è Dio stesso, e non esclude affatto il profitto eco­nomico al quale il lavoro tende direttamente. San Fran­cesco d’Assisi, richiesto dal fratello derisore di vendergli una goccia del suo sudore, gli rispose: “Il mio sudore l’ho già venduto al mio buon Dio, e a molto buon prezzo”.

Lungo il corso dei secoli punteggiato dal susseguirsi delle varie forme di civiltà la Fede ha alimentato l’amore al lavoro e la sua pratica costantemente: quando, agli ini­zi del cristianesimo, esso era ritenuto una vergogna e gli operai erano bollati con l’epiteto di Cicerone “il fango della città”: – quando ha indotto i monaci benedettini a disboscare e bonificare le terre abbandonate d’Europa, e ad appendere gli arnesi di lavoro come reliquie alle por­te delle chiese; – quando ha convinto principi e aristo­cratici a piegarsi al lavoro di fabbro, di contadino, di cuoco, di macellaio, di muratore: – quando ha ispirato le corporazioni d’arti e mestieri, che avevano ognuna in proprio il patrono, la chiesa, la via, la festa e che riusci­vano ad appianare le inevitabili discrepanze tra datori di lavoro e prestatori d’opera; – quando ha ammonito ric­chi e poveri con l’incisiva regola “Chi non vuol lavorare, neppure mangi” fissata da san Paolo (2 Tess. 3, 10), anch’egli operaio, un tessitore di stuoie, oltre che evan­gelizzatore.

C’è stato l’influsso della Fede sul lavoro anche là do­ve oggi, a prima vista, non se ne scorge neppure 1’apparenza. Valgano a ricordarlo due esempi: quello che ora si chiama sabato inglese o riposo del sabato o sabato prefe­stivo non fu altro, in origine, che il Sabato della Madon­na, in onore della quale si concedeva in quel giorno ai la­voratori un po’ di riposo in preparazione a quello della domenica, e fin dal secolo decimo Va dedicato alla Ma­donna il sabato di ogni settimana; e, secondo esempio, quello che è oggi il primo maggio per i lavoratori, era già nella Firenze del medioevo, con il calendimaggio, festa cristiana del lavoro, esattamente il primo maggio.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha lumeggiato il tradizionale pensiero della Fede sul lavoro affermando, soprattutto nella Costituzione su “La Chiesa nel mondo contemporaneo”, queste precisazioni: il lavoro non è tan­to una necessità quanto una vocazione alla costruzione di un mondo nuovo nel quale instaurare il regno di Dio: il lavoro realizza l’incontro tra l’uomo e la natura, nel quale questa è assoggettata dall’uomo che dimostra così il proprio impegno e la propria affermazione: il lavoro va visto nel suo carattere spiccatamente sociale, che può es­sere svolto a livello umano solo attraverso la cooperazio­ne tra gli uomini e nel rispetto della dignità di ogni per­sona.

Soltanto un limite la Fede pone al lavoro, quando cioé ordina di astenersene nei giorni espressamente ri­servati al culto del Signore, ossia la domenica e le feste comandate.

Una triste caratteristica del nostro tempo è la scar­sezza o addirittura la mancanza di Fede nel mondo del lavoro. Senza Fede, il lavoro perde la sua migliore dimensione riducendosi a caduco esercizio terreno, a mer­ce, a mero oggetto di profitto, a materia di scambio, a tentazione.di fare a meno di Dio, a campo di lotta, a delu­sione e, prima o poi, a impoverimento. Diceva il Curato d’Ars con l’intuito del santo: “Conosco due modi di di­ventar povero: Lavorare la domenica, e rubare le cose degli altri”.

Più che in passato, il lavoro ha oggi bisogno di Fede. “Né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere” (I Cor. 3,7)… fa “crescere il fieno per gli ar­menti e l’erba al servizio dell’uomo perché tragga ali­mento dalla terra, il vino che allieta il cuore dell’uomo, l’olio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo vigore” (Sal. 103, 14-15). Quel pane e quel vino, frutti di Dio creatore e dell’uomo lavoratore, che raggiungono il loro vertice di grandezza diventando nel sacramento dell’Eucarestia il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo.