Devozione ai Sacramenti: i genitori “il messaggio da dare ogni giorno ai figli”
Una chiamata personale
Nessuno può arrogarsi il titolo di messaggero di un altro, se non ne ha ricevuto l’incarico. Anche per i genitori sarebbe una presunzione chiamarsi messaggeri di Dio se non esistesse per loro una precisa chiamata in tal senso. Questa chiamata ufficiale c’è stata nel giorno del loro matrimonio.
Il padre e la madre educano i loro figli alla fede, non per un invito esterno né per un istinto interiore, ma perché chiamati direttamente da Dio con il sacramento del matrimonio. Essi hanno ricevuto dal Signore, in modo solenne davanti alla comunità, una vocazione ufficiale, una chiamata personale-a-due, come coppia.
Una grande missione
I genitori non sono chiamati a dare un’informazione qualunque su Dio: devono essere annunciatori di un avvenimento, o meglio di una serie di fatti, in cui il Signore si rende presente. Essi proclamano la presenza di Dio, ciò che egli ha compiuto nella loro famiglia e ciò che sta compiendo. Essi sono testimoni di questa presenza amorosa con la parola e con la vita.
I coniugi sono testimoni della fede reciprocamente e nei confronti dei figli e di tutti gli altri familiari (AA, 11). Essi, in quanto messaggeri di Dio, devono vedere il Signore presente nella loro casa e indicarlo ai figli con la parola e la vita. Diversamente sono infedeli alla loro dignità e compromettono seriamente la missione ricevuta nel matrimonio. Il padre e la madre non spiegano Dio, ma lo mostrano presente, perché essi stessi l’hanno scoperto e familiarizzano con lui.
Con la forza dell’esistenza
Il messaggero è uno che grida il messaggio. La forza dell’annuncio non è da valutare nel tono della voce, ma è una convinzione personale forte, una capacità persuasiva penetrante, un entusiasmo che traspare in ogni forma e in ogni circostanza.
Per essere messaggeri di Dio i genitori devono avere convinzioni cristiane profonde che coinvolgano la loro vita. In questo campo la buona volontà, lo stesso amore, non bastano. I genitori si devono acquistare, con la grazia di Dio, un’abilità anzitutto rafforzando le loro convinzioni morali e religiose, dando l’esempio, riflettendo insieme sulla loro esperienza, riflettendo con altri genitori, con educatori esperti, con sacerdoti (Giovanni Paolo II, Discorso al III Congresso internazionale della famiglia, 30 ottobre 1978).
Non possono quindi pretendere di educare i figli alla fede se le loro parole non vibrano e non risuonano all’unisono con la propria vita. Nel chiamarli a diventare suoi messaggeri, Dio chiede molto ai genitori, ma con il sacramento del matrimonio assicura la sua presenza nella loro famiglia, portandovi la sua grazia.
Il messaggio da interpretare ogni giorno ai figli
Ogni messaggio esige di essere interpretato e capito continuamente. Soprattutto dev’essere confrontato con le situazioni di vita, perché esso si rivolge all’esistenza, agli aspetti più profondi della vita là dove si sollevano gli interrogativi più seri che non si possono eludere. Sono i messaggeri, nel nostro caso i genitori, gli incaricati di decifrarlo, perché a loro è stato concesso il dono dell’interpretazione.
Dio assegna ai genitori il compito di applicare alla vita familiare i significati del messaggio e di trasmettere così ai figli il senso cristiano dell’esistenza.
Questo aspetto originale dell’educazione alla fede in famiglia comporta i momenti tipici di ogni esperienza pratica: l’apprendimento di un codice di interpretazione, l’acquisizione del linguaggio e l’appropriazione dei gesti e dei comportamenti comunitari.