Gemma di Ribera: vede senza pupille. Un miracolo di Padre Pio
dal Giornale di Sicilia del 20 novembre 1952
Non è epoca di miracoli la nostra, opaca, brulla, illuminata dal fulgore sinistro dell’atomica e del Napalm; è tempo di violenza, di passioni scatenate di odiuzzi tenaci e sterili; tempo grigio; mai come ora gli uomini sono apparsi popolo di formiche.
Nel crollo di tante credenze, di tanti miti, e nel sopraggiungere di altre credenze ed altri miti, si balocca lo spirito di tutti nei saputi, tanto più moralmente piccini, quanto più la tecnica ci rende potenti nelle distruzioni.
Rinasce ad ogni esplosione, ad ogni ricerca oltre la barriera del suono dell’ignoto, l’antico orgoglio satanico della sapienza della forza poiché sempre più piccolo uomo di oggi, dimentica ancora una volta quanto inesorabilmente lontana sia la frontiera che all’infinito separa la sua pochezza dell’eternità di Dio.
È un deserto quotidiano in cui tutti ci perdiamo un poco, inesorabilmente, malgrado ogni sforzo ed ogni fede: la folla trascina sempre tutti anche più attenti e vigile.
C’è una sola speranza e vale solo per quelli che sanno trovare la forza di uscire di tanto in tanto dalla morta gora e respirare. Tra codesti fortunati ci saranno certamente pochi giornalisti, poiché la catena che ci lega quotidianamente al mestiere, e più rigida, più pesante più corta.
Pure ogni tanto la vita sa prenderci per mano e mostrarci un angolo di cielo; ce lo troviamo di fronte senza prevederlo, nei luoghi che nei momenti più diverse di impensati: oggi l’abbiamo trovato a Naro, negli occhi neri di una bimbetta di non ancora 13 anni, che giocava girotondo con altre piccine, in un piccolo istituto che porta il nome limpido dell’Immacolata.
Chi la guarda da lontano, se non sa nulla non riesce a percepire alcunché di straordinario; ma se ci si avvicina e si parla Gemma delle cosette della sua classe, o del parroco che l’ha fatta accogliere o delle suore che l’hanno vicina, si trova nelle parole, nei gesti, nessuno stesso della voce, qualcosa di particolare… Forse la nostra è stata la semplice impressione di chi già “sapeva” la storia di Gemma… Certo c’è sembrato che avesse una gioia d’un gusto particolare a godere dei colori e delle forme; che tutto il suo essere fosse ancora preso, dopo tanta e così lunga tenebra della gioia infinita della luce.
Gemma è nata cieca, e c’è che cresciuta nella piccola casa contadina tra il muto dolore dei genitori.
Le stava vicino con quell’amore tenere senza confini che fa divenire due volte materna ogni sollecitudine, la nonna Maria che la conduceva per mano, le parlava della vita da cui era relegata lontano, delle forme, dei colori.
Gemma conobbe le cose che non toccava per mano, della voce di nonna Maria: il carretto di cui sentiva il sonaglio argentino, l’altare presso cui pregava, la madonnina della chiesa, la barca altalenante nel dolce mare agrigentino… Il mondo insomma, era per lei fatto di suoni che ascoltava e delle forme che le suggeriva l’amore di nonna Maria.
Aveva un anno quando fu santificata Gemma Galvani e la piccola le fu consacrata con una sete di fede tanto più grande, quanto più i suoi poveri occhi apparivano disperatamente bui, perché senza pupilla.
Un anno dopo Gemma cominciò a vedere la luce: giunge fino al primo grande miracolo, quello che il testo sacro racchiude in quattro paroline infinite: e la luce fu.gemma
Poté meglio comprendere le spiegazioni della nonna: ma i medici restavano inesorabilmente scettici e tutti finirono col convincersi che questa faccenda della luce vista da Gemma fosse un pietoso frutto della suggestione familiare.
Nel 1947 Gemma aveva otto anni, cominciava a sentire più profondamente il dramma della sua sciagura; le sue parole erano più scorate, le sue domande più disperanti.
Nonna Maria un giorno se la prese per mano nella portò su un vecchio treno fumoso.
Parlò a lungo delle troppe cose che vedeva, molte nuove anche per lei, parlò anche dello Stretto, della Madonnina messinese, mentre rivolgeva ancora una preghiera muta prima di salire sull’altro treno che doveva portarle entrambe a San Giovanni Rotondo da padre Pio.
La nonna al fine s’addormentò sfinita tenendo Gemma per mano e non s’accorse di correre nella terra di Foggia sull’altro mare che non avevo mai visto.
D’un tratto la voce di Gemma la tolse a poco a poco al suo torpore: la piccola parlava adagio, fitto fitto, di cose che vedeva e la vecchia nel dormiveglia, le seguiva il discorrere come una buona fantasia consolatrice… Poi d’un tratto balzò in piedi con gli occhi sbarrati: Gemma gridava di vedere sul mare un una grande barca col fumo e nonna Maria vide anche lei, nell’Adriatico azzurro, un piroscafo tranquillamente muovendosi verso il porto.
Fu così che un treno qualunque, pieno di gente insonnolita, indaffarate distratta, di gente con la testa piena di tasse, di cambiali, i debiti e di grossi guadagni, s’empi di urli.
Fu un accorrere a tutte le parti e poco mancò non si suonasse il campanello d’allarme: Gemma vedeva!
Nonna Maria volle andare lo stesso da padre Pio: arrivò senza dir nulla a nessuno e con Gemma per mano si mise in coda, pazientemente aspettando il suo turno.
Nonna Maria deve avere qualcosa della natura di San Tommaso apostolo: sorvegliava la nipotina per paura di essersi sbagliata.
Quando arrivò, padre Pio, chiamò subito Gemma e la confessò per prima. La bimba s’inginocchiò e parlò delle piccole grandissime cose della sua anima e padre Pio le rispose con quelli immortali e divine: nè l’una e nè l’altro trovarono il tempo di occuparsi del corpo, né degli occhi che ormai vedevano…
Nonna Maria quando seppe che Gemma non aveva parlato a padre Pio dei suoi occhi, trasecolò; non disse nulla riprese il turno attendendo di confessarsi.
Dopo l’assoluzione, alzò il viso attraverso la grata fitta del confessionale guardò a lungo la figura scura del frate… Le parole bruciavano sulle labbra… Infine disse: “Mia nipotina, non ci vede…” Non continuò temendo di dire una grossa bugia.
Padre Pio la guardò con gli occhi vivi ed un lampo di amorosa malizia: poi alzò la mano e disse con noncuranza: “Che dici, la bambina ci vede…!”.
Nonna Maria andò a prendere la comunione con Gemma senza darle la mano, sorvegliandolo attentamente. La vedeva muoversi con passo incerto malsicuro di una neofita, guardare con una sete inesauribile le cose grandi e le piccine…
Durante il viaggio di ritorno, nonna Maria era così in pensiero da star male e dovettero riceverla all’ospedale di Cosenza. Al medico disse che non c’era bisogno di visitar lei; piuttosto la sua nipotina aveva male agli occhi.
Ci fu un gran movimento di carte qualche difficoltà, ma il medico finì col chinarsi verso Gemma: “ma è cieca. E’ senza pupilla. Povera piccola. Niente da fare”.
La scienza con tranquilla sicurezza aveva parlato e nonna Maria guardava osservava guardinga, sospettosa.
Ma Gemma disse di vederci, il medico trasecolato tirò fuori un fazzoletto, poi si allontanò un poco e mostrò gli occhiali, poi il cappello, infine travolto dall’evidenza andò via urlando. Ma nonna Maria tacque non disse nulla di padre Pio.
Ora Nonna Maria era tranquilla; tornò a casa si diede subito da fare perché Gemma andasse a scuola a riguadagnare il tempo perduto; poté mandarla a Naro dalle suore e lei è rimasta a casa con mamma e papà e la fotografia di padre Pio.
Questa è la storia di due occhi senza pupilla, cui forse giunse un giorno dall’interno la luce di un’anima limpida di bimba per forza d’amore.
Una storia che sembra tolta da un antico libro di miracoli: una cosa fuori dal nostro tempo.
Ma Gemma è a Naro che gioca, che vive; nonna Maria sta nella casetta di Ribera con l’immagine di padre Pio. Chi vuole può andare a vedere.
Ercole Melati