Giornata della memoria, quella Parrocchia che salvò 15 bambine ebree
Radio Vaticana – Vatican News celebra la Giornata della Memoria con una videostoria dissepolta dai giorni del terrore nazista a Roma, quando nell’ottobre 1943 un gruppo di bambine ebree trovarono scampo tra un convento e una parrocchia collegate da un passaggio segreto.
E lo celebra con le immagini di Papa Francesco che muto e a capo chino gira tra i viali del campo di sterminio di Auschwitz nel 2016.
La storia riportata alla luce parla di questo gruppo di bambine ebree che disegnavano tutto il tempo in cui erano costrette a rifugiarsi in un cunicolo stretto e buio sotto il campanile di Santa Maria ai Monti per distrarsi dallo strepitio degli stivali dei soldati sui sampietrini, durante l’orribile ottobre del 1943.
Disegnavano soprattutto volti: quelli delle mamme e dei papà per non far sì che il terrore o il tempo ne offuscassero il ricordo, quelli delle bambole perse nella fuga, il volto della regina Esther con in mano una kalla, il pane dell’offerta.
Scrivevano i loro nomi e cognomi, Matilde, Clelia, Carla, Anna, Aida. Erano quindici, la più piccola aveva 4 anni. Si salvarono nascondendosi in uno spazio lungo sei metri e largo due nel punto più alto di questa chiesa cinquecentesca nel cuore dell’antica Suburra, a pochi passi dal Colosseo. Vi trascorrevano ore angoscianti che a volte si trasformavano in giorni. Tra mura e arcate si muovevano come ombre per sfuggire a soldati e delatori.
Aiutate dalle suore “cappellone” e dall’allora parroco, don Guido Ciuffa, scamparono a rastrellamenti e morte certa nell’abisso dei lager che inghiottirono la vita dei familiari. Gli stessi che ebbero l’animo di affidarle alle Figlie della Carità nell’allora Convento delle Neofite. Mescolate a studentesse e novizie, alla prima avvisaglia di pericolo, venivano condotte in parrocchia attraverso una porta comunicante.
Quella porta oggi è un muro di cemento nel salone del catechismo. “Ai bambini spiego sempre cos’è successo qui e soprattutto cosa non deve più succedere”, ha detto a Vatican News don Francesco Pesce, da dodici anni parroco di Santa Maria ai Monti. Novantacinque gradini di una scala a chiocciola buia. Le bambine percorrevano su e giù il torrione, da sole, a turno, per recuperare cibo e vestiti e portarlo alle compagne, che aspettavano sul cupolone di cemento che ricopre l’abside.
Lo stesso usato come attrazione nei rari momenti di gioco, quando i canti della Messa coprivano i rumori. “Qui abbiamo toccato l’altezza del dolore ma anche l’altezza dell’amore”, dice il parroco.
“Un intero rione si è dato da fare e non soltanto i cristiani cattolici, ma anche i fratelli di altre religioni che mantennero il silenzio e proseguirono nell’opera di carità. In questo vedo un anticipo della Fratelli tutti”. Si salvarono tutte. Da adulte, divenute madri, mogli, nonne, hanno continuato a visitare la parrocchia. Una fino a pochi anni fa, arrampicandosi su al rifugio finché le gambe gliel’hanno consentito. Da anziana si fermava davanti alla porta della sagrestia in ginocchio e piangeva. Proprio come 80 anni fa.